Va, innanzitutto, precisato che per tutte le opere per la cui esecuzione sia stata rilasciata una concessione edilizia, oggi permesso di costruzione, è fatto obbligo al titolare di inoltrare al Comune la richiesta di rilascio del certificato di abitabilità-agibilità. Laddove venga presentata una D.I.A., denunzia di inizio attività, il certificato di abitabilità-agibilità dovrà essere richiesto qualora le opere comportino una variazione catastale e/o un intervento per cui è previsto il relativo collaudo statico. Nella compravendita di immobili adibiti ad abitazione deve intendersi come implicito il requisito dell’abitabilità legale conseguente al rilascio della relativa licenza comunale quale elemento integrante dell’identità dell’immobile, a meno che il contrario non sia stato espressamente convenuto fra le parti. Ne consegue che la mancanza del certificato di abitabilità, non riconducibile alla colpevole inerzia della pubblica amministrazione ma in dipendenza del fatto che la costruzione sia stata eseguita in violazione delle norme di edilizia o di igiene, abilita l’acquirente a chiedere la risoluzione del contratto ai sensi degli articoli 1453, 1476 e 1477 del codice civile, essendo la cosa venduta del tutto inidonea ad assolvere alla sua destinazione economico-sociale e quindi a soddisfare in concreto le esigenze che determinarono l’acquirente a contrarre. In buona sostanza, il venditore di un immobile è tenuto a dotare il bene della licenza di abitabilità e, come dianzi cennato, la sua mancanza comporta un ben preciso inadempimento contrattuale, sul quale si registrano diversi orientamenti giurisprudenziali non sempre concordanti. Addirittura, fino a qualche anno fa, la mancanza di abitabilità poteva venire sanzionata in sede penale. E’ stato osservato, per esempio, che la mancanza della licenza suddetta influisce sul prezzo dell’immobile e sulla possibilità di rivenderlo, così come essa può portare, addirittura, alla risoluzione del contratto o al risarcimento del danno. E’ stato, infatti, sostenuto che colui che vende un immobile privo della licenza di abitabilità non vende tanto una cosa viziata ma vende un’altra cosa con che si configura la fattispecie del cosiddetto aliud pro alio. In tal senso si è pronunciata la Suprema Corte (Sezione III, 27 novembre 2006 n. 25137): “In caso di compravendita di immobili il mancato rilascio della licenza di abitabilità integra inadempimento del venditore per consegna di aliud pro alio, adducibile da parte del compratore in via di eccezione, ai sensi dell’art. 1460 del c.c., o come fonte di pretesa risarcitoria per la ridotta commerciabilità del bene”. Solamente nella precisa ipotesi della presenza di un accordo scritto di esclusione dall’obbligo di procurare l’abitabilità esonera il venditore. Si legge, ancora, nella citata sentenza: “…A meno che egli (l’acquirente) non abbia espressamente rinunciato al requisito dell’abitabilità o esonerato comunque il venditore dall’obbligo di ottenere la relativa licenza”. Quando la compravendita avviene attraverso la mediazione di un agente immobiliare, si discute se egli possa, in qualche modo, essere ritenuto responsabile per non essersi accertato della esistenza o meno di tale certificazione. Il problema è aperto e non si registrano pronunce specifiche da parte della giurisprudenza. A tal proposito va osservato che, in tema di mediazione, il limite dell’obbligo d’informazione che l’art. 1759 comma 1 c.c. pone a carico del mediatore non esclude affatto la possibilità di configurare la sua responsabilità