Quanto costa una dichiarazione di conformità o di rispondenza? Poco o nulla, si potrebbe rispondere. O, per contro, migliaia di euro. Il primo è il caso di un impianto in un appartamento di normali dimensioni, integralmente installato da un tecnico o professionista abilitato. Quest’ultimo, al termine dei lavori, non farà altro che compilare la sintetica paginetta del modello allegato al decreto ministeriale 22/ 1/2008, n. 37. Discorso diverso per il "certificato di rispondenza", vale a dire il documento che attesta la conformità dei vecchi impianti alle norme in vigore quando furono realizzati. Qui i costi salgono: per ciascun impianto, in un appartamento medio, occorre fare una verifica severa e la spesa, alla fine, può essere pesante: da 250 a 300 euro per il condizionamento, da 350 a 800 per l’impianto elettrico, da 250 a 300 per il riscaldamento, da 300 a 400 per la canna fumaria (ma quando è ramificata si arriva anche a 3mila), da 50 a 200 per l’antenna Tv, da 200 a 400 per
l’impianto del gas, da 100 a 200 per gli antifurto.
Se si scava più a fondo, però, le cose si complicano ancora. Vanno sempre previsti allegati alla dichiarazione, il progetto e lo schema dell’impianto, che fino a ieri non erano necessari per gli interventi di scarso peso. Poi, l’installatore deve certificare solo i lavori da lui eseguiti oppure anche l’impianto nel suo complesso, ivi comprese quelle parti in cui non è intervenuto? Per esempio, se si cambia il solo bruciatore di una caldaia centralizzata, occorre anche verificare che le canne fumarie siano in regola, che funzioni bene la messa a terra elettrica della caldaia, che sia tarata correttamente l’erogazione nei singoli appartamenti?
Se la risposta è, come dovrebbe essere, che va controllato l’intero impianto, è chiaro che prima di rilasciare la dichiarazione di conformità l’installatore (o un perito esterno) dovrebbe stendere una vera e propria perizia, decidendo tra l’altro fino a che punto spingere la sua indagine. Basta, per esempio, un controllo sul fatto che canne fumarie e camini " tirino", oppure è necessario spingersi più a fondo, cercando di reperire i progetti del costruttore dell’edificio e verificarne la rispondenza alle norme dell’epoca?
La stessa differenza traccia una linea di demarcazione molto netta, con costi assai diversi, tra una dichiarazione di conformità redatta dall’installatore e la neo-nata "dichiarazione di conformità sostitutiva" resa anni e anni dopo da un iscritto all’albo che non ha partecipato né alla progettazione né alla realizzazione dell’impianto. Ma anche questa è in realtà una "perizia", che prevede approfondite e costose indagini sul campo. E tale relazione sostitutiva vede incrementare i suoi costi tanto più l’impianto è complesso e tanto meno è reperibile documentazione che lo riguarda. I problemi, però, non sono solo quelli dei costi. Mancano nel decreto entrato in vigore il 27 marzo, norme transitorie che permettano un’applicazione graduale. Questo, per l’Assistal, l’associazione di categoria dei costruttori di impianti, sarà fonte di confusione e problemi. Innanzitutto perché è riformulata la lista delle otto categorie a cui si può essere, o non essere, abilitati (si veda l’articolo nella pagina). Ne consegue che, in teoria, molte aziende per eseguire legittimamente le opere che sono solite fare, dovrebbero riscrivere tra le loro attività quelle nuove: altrimenti rischiano pesanti sanzioni. Inoltre, anche le procedure sono un mistero: il decreto prevede l’iscrizione delle specializzazioni al momento della denuncia di inizio attività, cioè del lancio dell’azienda stessa, e non un iter per le modifiche di quelle esistenti.
A sottolineare un altro problema di intreccio normativo, il cui scioglimento sembra veramente difficile (a meno di ricorrere sistematicamente al sistema delle deroghe indicato dallo stesso ministero) è Achille Colombo Clerici, presidente di Assoedilizia: «Il parere dato il 26 marzo dallo Sviluppo economico incorre in due affermazioni che, sul piano giuridico, presentano una forte contraddizione fra loro». Riferendosi agli impianti già esistenti negli edifici il Dm dichiara che la sicurezza dei predetti impianti deve essere valutata in base alla loro conformità alle norme vigenti al momento della loro realizzazione o modifica. Né sussiste alcun obbligo di procedere all’adeguamento degli impianti preesistenti conformi alle precedenti norme di sicurezza ad essi applicabili. Poi, però, richiama la disposizione secondo cui l’atto di trasferimento riporta la garanzia del venditore in ordine alla
conformità degli impianti alla vigente normativa in materia di sicurezza. «In sostanza si chiede Colombo Clerici perché mai il venditore deve dichiarare dei vizi relativi a una conformità ( quella alle norme vigenti) che si afferma non essere necessaria?».